\documentclass[11pt]{book} \usepackage[latin1]{inputenc} \usepackage[italian]{babel}[2005/05/21 v3.8g] \usepackage[pagestyles,innermarks,clearempty]{titlesec}[2005/01/22 v2.6] \usepackage{titletoc}[2005/01/22 v1.5] \usepackage[repeat]{poetry} \usepackage{drama} \usepackage{example} \TextHeight {7.5in} \TextWidth {4.5in} %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% \titleformat {\chapter}[block] {\RelSize{1}\centering} {} {0pt} {\LETTERspace} \renewcommand {\contentsname}{INDICE} \titlecontents {section}[0pt] {\vspace {1\leading plus .5\leading}} {\scshape\MakeLowercase} {\scshape\MakeLowercase} {\hfill \OldStyleNums{\thecontentspage}} [\addvspace{.33ex}] %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% \newpagestyle {pagina} { \sethead [\oldstylenums{\thepage}] [\scshape\MakeLowercase{Poliziano}] [] {} {\firsttitlemarks \scshape\MakeLowercase{\sectiontitle}} {\oldstylenums{\thepage}} \Capita {section}{subsection} } %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% \Facies \personae {\textsc{#1}{#2}\\\textsc{#1}} \Locus {\centre} \SpatiumSupra {2ex plus .5ex minus .25ex \penalty -100} \SpatiumInfra {1ex plus .5ex minus .125ex \penalty 10000} \Facies \( {\itshape} \Forma {\hangafter 1 \hangindent 1em} \SpatiumSupra {2ex plus .5ex minus .25ex \penalty -100} \SpatiumInfra {2ex plus .5ex minus .25ex \penalty 100} \Facies \[ {\textit{#1:}} \Forma {\hangafter 1 \hangindent 1em} \SpatiumAnte {.33em} \Locus \numeri {\rightmargin} \Facies {\RelSize{-1}\oldstylenums{#1}} \SpatiumInfra \stropham {0ex plus .25ex\penalty -50} \newcommand {\terzine} {\Progressio \numeri {3}\Forma \strophae {100}} \newcommand {\ottave} {\Progressio \numeri {8} \Forma \strophae[8]{10}} \newcommand {\spazio} {.66ex plus .33ex\penalty -50} \newcommand {\canzona} {% \Progressio \numeri {27778}% \Forma \strophae {10 {\spazio} 100000 {\spazio} 1 {\spazio} 100000 {\spazio} 1 {\spazio} 100000 {\spazio} 1 {\spazio} 100000 {\spazio} 10}% } \newcommand {\saffiche} {% \Progressio \numeri {4} \Forma \strophae {000 {\penalty 100} 1 {\spazio} }} \Facies \tituli {\RelSize{+2}\LetterSpace{#1}} \SpatiumSupra* {.3\textheight} \SpatiumInfra {\penalty -10000} \Novus \numerus \Nstanza \Facies {\oldstylenums{#1}} \Novus \titulus \stanza \Facies {\Nstanza*{=+1}} \Forma {\rightskip 1.7in\centered} \SpatiumSupra {1\leading plus 1\leading minus .5\leading\penalty -100} \SpatiumInfra {.5\leading plus .5\leading minus .25\leading\penalty 10000} \Novus \titulus \libro \Facies {\thispagestyle{empty}\MakeUppercase{Libro #1}} \SpatiumSupra {3ex plus 1ex \penalty -10000} \SpatiumInfra {2ex plus 1ex \penalty 10000} \Novus \textus \sinossi \Locus {\rightmargin} \Modus {\aligned{right} \rangedright{1.25in}} \Facies {\RelSize{-1}\textit{#1.}} \Novus \titulus \opera \Facies {\cleardoublepage\thispagestyle{empty}#1% % \cleardoublepage\thispagestyle{empty}} \newpage\thispagestyle{empty}} \Caput {\section} \begin{document} \ExampleTitle [i]{ANGELO AMBROGINI\\[.5ex](\textsc{il poliziano})} {POESIE} {Poesie Italiane\\[.75ex] Biblioteca Universale Rizzoli} \addtocontents{toc}{\protect\thispagestyle{empty}} \tableofcontents \pagestyle{pagina} \opera {STANZE DE MESSER ANGELO PO\\LITIANO COMINCIATE PER LA \\% GIOSTRA DEL MAGNIFICO \\GIVLIANO DI PIERO DE\\MEDICI \contents{Stanze per la giostra di Giuliano de Medici} \headline{Stanze per la giostra}} \Versus \libro{primo} \Forma \strophae {0 {\penalty 10000} 0*6 {\penalty 10000} 0} \Locus \textus {+1em} \Facies \strophae {\stanza} \Nstanza {0} Le gloriose pompe e' fieri ludi \sinossi{Preposizione} della città che 'l freno allenta e stringe a magnanimi Toschi, e i regni crudi di quella dea che 'l terzo ciel dipinge, e i premi degni alli onorati studi, la mente audace a celebrar mi spinge, sì che i gran nomi e i fatti egregi e soli fortuna o morte o tempo non involi. %2 O bello idio ch'al cor per gli occhi inspiri % \sinossi{Invocazione\\ ad Amore} dolce disir d'amaro pensier pieno, e pasciti di pianto e di sospiri, nudrisci l'alme d'un dolce veleno, gentil fai divenir ciò che tu miri, né può star cosa vil drento al suo seno; Amor, del quale i' son sempre suggetto, porgi or la mano al mio basso intelletto. %3 Sostien tu el fascio ch'a me tanto pesa, reggi la lingua, Amor, reggi la mano; tu principio, tu fin dell'alta impresa, tuo fia l'onor, s'io già non prego invano; di', signor, con che lacci da te presa fu l'alta mente del baron toscano più gioven figlio della etrusca Leda, che reti furno ordite a tanta preda. %4 E tu, ben nato Laur, sotto il cui velo % \sinossi{Invocazione\\a Laurenzio\\de Medici} Fiorenza lieta in pace si riposa, né teme i venti o 'l minacciar del celo o Giove irato in vista più crucciosa, accogli all'ombra del tuo santo stelo la voce umil, tremante e paurosa; o causa, o fin di tutte le mie voglie, che sol vivon d'odor delle tuo foglie. %5 Deh, sarà mai che con più alte note, se non contasti al mio volar fortuna, lo spirto della membra, che devote ti fuor da' fati insin già dalla cuna, risuoni te dai Numidi a Boote, dagl'Indi al mar che 'l nostro celo imbruna, e posto il nido in tuo felice ligno, di roco augel diventi un bianco cigno? %6 Ma fin ch'all'alta impresa tremo e bramo, e son tarpati i vanni al mio disio, lo glorioso tuo fratel cantiamo, che di nuovo trofeo rende giulio il chiaro sangue e di secondo ramo: convien ch'i' sudi in questa polver io. Or muovi prima tu mie' versi, Amore, ch'ad alto volo impenni ogni vil core. %7 E se qua su la fama el ver rimbomba, che la figlia di Leda, o sacro Achille, poi che 'l corpo lasciasti intro la tomba,% \sinossi{Escusazione dell'avere % alquanto intermesso % la traduzione omerica} t'accenda ancor d'amorose faville, lascia tacere un po' tuo maggior tromba ch'i' fo squillar per l'italiche ville, e tempra tu la cetra a nuovi carmi, mentr'io canto l'amor di Iulio e l'armi. %8 Nel vago tempo di sua verde etate, \sinossi{Narrazione} spargendo ancor pel volto il primo fiore, né avendo il bel Iulio ancor provate le dolce acerbe cure che dà Amore, viveasi lieto in pace e 'n libertate; % \sinossi{Qual fussi di Iulio la vita % avanti che s'innamorassi} talor frenando un gentil corridore, che gloria fu de' ciciliani armenti, con esso a correr contendea co' venti: %9 ora a guisa saltar di leopardo, or destro fea rotarlo in breve giro; or fea ronzar per l'aere un lento dardo, dando sovente a fere agro martiro. Cotal viveasi il giovene gagliardo; né pensando al suo fato acerbo e diro, né certo ancor de' suo' futuri pianti, solea gabbarsi delli afflitti amanti. %10 Ah quante ninfe per lui sospirorno! Ma fu sì altero sempre il giovinetto, che mai le ninfe amanti nol piegorno, mai poté riscaldarsi il freddo petto. Facea sovente pe' boschi soggiorno, inculto sempre e rigido in aspetto; e 'l volto difendea dal solar raggio, con ghirlanda di pino o verde faggio. %11 Poi, quando già nel ciel parean le stelle, tutto gioioso a sua magion tornava; e 'n compagnia delle nove sorelle celesti versi con disio cantava, e d'antica virtù mille fiammelle con gli alti carmi ne' petti destava: così, chiamando amor lascivia umana, si godea con le Muse o con Diana. %12 E se talor nel ceco labirinto errar vedeva un miserello amante, di dolor carco, di pietà dipinto, seguir della nemica sua le piante, e dove Amor il cor li avessi avinto, lì pascer l'alma di dua luci sante preso nelle amorose crudel gogne, sì l'assaliva con agre rampogne: %13 `Scuoti, meschin, del petto il ceco errore, % \sinossi{Parole di Iulio a' gioveni amanti} ch'a te stessi te fura, ad altrui porge; non nudrir di lusinghe un van furore, che di pigra lascivia e d'ozio sorge. Costui che 'l vulgo errante chiama Amore \sinossi{Che cosa\\ sia Amore} è dolce insania a chi più acuto scorge: sì bel titol d'Amore ha dato il mondo a una ceca peste, a un mal giocondo. %14 Ah quanto è uom meschin, che cangia voglia \kern -.5in% \sinossi{Contro\\alle donne} per donna, o mai per lei s'allegra o dole; e qual per lei di libertà si spoglia o crede a sui sembianti, a sue parole! Ché sempre è più leggier ch'al vento foglia, e mille volte el dì vuole e disvuole: segue chi fugge, a chi la vuol s'asconde, e vanne e vien, come alla riva l'onde. %15 Giovane donna sembra veramente quasi sotto un bel mare acuto scoglio, o ver tra' fiori un giovincel serpente uscito pur mo' fuor del vecchio scoglio. Ah quanto è fra' più miseri dolente chi può soffrir di donna il fero orgoglio! Ché quanto ha il volto più di biltà pieno, più cela inganni nel fallace seno. %16 Con essi gli occhi giovenili invesca Amor, ch'ogni pensier maschio vi fura; e quale un tratto ingoza la dolce esca mai di sua propria libertà non cura; ma, come se pur Lete Amor vi mesca, tosto obliate vostra alta natura; né poi viril pensiero in voi germoglia, sì del proprio valor costui vi spoglia. %17 Quanto è più dolce, quanto è più securo % \sinossi{Laude\\della vita\\rusticana} seguir le fere fugitive in caccia fra boschi antichi fuor di fossa o muro, e spiar lor covil per lunga traccia! Veder la valle e 'l colle e l'aer più puro, l'erbe e' fior, l'acqua viva chiara e ghiaccia! Udir li augei svernar, rimbombar l'onde, e dolce al vento mormorar le fronde! %18 Quanto giova a mirar pender da un'erta le capre, e pascer questo e quel virgulto; e 'l montanaro all'ombra più conserta destar la sua zampogna e 'l verso inculto; veder la terra di pomi coperta, ogni arbor da' suoi frutti quasi occulto; veder cozzar monton, vacche mughiare e le biade ondeggiar come fa il mare! %19 Or delle pecorelle il rozo mastro si vede alla sua torma aprir la sbarra; poi quando muove lor con suo vincastro, dolce è a notar come a ciascuna garra. Or si vede il villan domar col rastro le dure zolle, or maneggiar la marra; or la contadinella scinta e scalza star coll'oche a filar sotto una balza. %20 In cotal guisa già l'antiche genti % \sinossi{Qual fussi\\l'età aurea} si crede esser godute al secol d'oro; né fatte ancor le madre eron dolenti de' morti figli al marzial lavoro; né si credeva ancor la vita a' venti né del giogo doleasi ancora il toro; lor case eron fronzute querce e grande, ch'avean nel tronco mèl, ne' rami ghiande. %21 Non era ancor la scelerata sete del crudele oro entrata nel bel mondo; viveansi in libertà le genti liete, e non solcato il campo era fecondo. Fortuna invidiosa a lor quiete ruppe ogni legge, e pietà misse in fondo; lussuria entrò ne' petti e quel furore che la meschina gente chiama amore'. %22 In cotal guisa rimordea sovente l'altero giovinetto e sacri amanti, come talor chi sé gioioso sente non sa ben porger fede alli altrui pianti; ma qualche miserello, a cui l'ardente fiamme struggeano i nervi tutti quanti, gridava al ciel: `Giusto sdegno ti muova, Amor, che costui creda almen per pruova'. %23 Né fu Cupido sordo al pio lamento, \sinossi{Parole\\d'Amore\\ irato} e 'ncominciò crudelmente ridendo: `Dunque non sono idio? dunque è già spento mie foco con che il mondo tutto accendo? Io pur fei Giove mughiar fra l'armento, io Febo drieto a Dafne gir piangendo, io trassi Pluto delle infernal segge: e che non ubidisce alla mia legge? %24 Io fo cadere al tigre la sua rabbia al leone il fer rughio, al drago il fischio; e quale è uom di sì secura labbia, che fuggir possa il mio tenace vischio? Or, ch'un superbo in sì vil pregio m'abbia che di non esser dio vegna a gran rischio? Or veggiàn se 'l meschin ch'Amor riprende, da due begli occhi se stesso or difende'. %25 Zefiro già, di be' fioretti adorno,% \sinossi{Descrizione di primavera} avea de' monti tolta ogni pruina; avea fatto al suo nido già ritorno la stanca rondinella peregrina; risonava la selva intorno intorno soavemente all'ôra mattutina, e la ingegnosa pecchia al primo albore giva predando ora uno or altro fiore. %26 L'ardito Iulio, al giorno ancora acerbo, % \sinossi{Breve\\ descrizione\\ d'una caccia} allor ch'al tufo torna la civetta, fatto frenare il corridor superbo, verso la selva con sua gente eletta prese el cammino, e sotto buon riserbo % \sinossi{Ordinazione\\ alla caccia} seguial de' fedel can la schiera stretta; di ciò che fa mestieri a caccia adorni, con archi e lacci e spiedi e dardi e corni. %27 Già circundata avea la lieta schiera % \sinossi{Principio\\ della caccia\\ misto\\ % di diversi\\ accidenti} il folto bosco, e già con grave orrore del suo covil si destava ogni fera; givan seguendo e bracchi il lungo odore; ogni varco da lacci e can chiuso era, di stormir d'abbaiar cresce il romore, di fischi e bussi tutto il bosco suona, del rimbombar de' corni el cel rintruona. %28 Con tal romor, qualor più l'aer discorda, \sinossi{Comparazione} di Giove il foco d'alta nube piomba; con tal tumulto, onde la gente assorda, dall'alte cataratte il Nil rimbomba; con tale orror, del latin sangue ingorda, sonò Megera la tartarea tromba. Qual animal di stiza par si roda, qual serra al ventre la tremante coda. %29 Spargesi tutta la bella compagna: % \sinossi{Varii officii\\ de'\\ cacciatori} altri alle reti, altri alla via più stretta; chi serba in coppia e can, chi gli scompagna; chi già 'l suo ammette, chi 'l richiama e alletta; chi sprona el buon destrier per la campagna; chi l'adirata fera armato aspetta; chi si sta sovra un ramo a buon riguardo, chi in man lo spiede e chi s'acconcia el dardo. %30 Già le setole arriccia e arruota e denti % \sinossi{Varii atti\\di fere} el porco entro 'l burron; già d'una grotta spunta giù 'l cavriuol; già e vecchi armenti de' cervi van pel pian fuggendo in frotta; timor gl'inganni della volpe ha spenti; le lepri al primo assalto vanno in rotta; di sua tana stordita esce ogni belva; l'astuto lupo vie più si rinselva, %31 e rinselvato le sagace nare del picciol bracco pur teme il meschino; ma 'l cervio par del veltro paventare, de' lacci el porco o del fero mastino. Vedesi lieto or qua or là volare \sinossi{Di Iulio} fuor d'ogni schiera il gioven peregrino; pel folto bosco el fer caval mette ale, e trista fa qual fera Iulio assale. %32 Quale el centaur per la nevosa selva \sinossi{Comparazione} di Pelio o d'Elmo va feroce in caccia, dalle lor tane predando ogni belva: or l'orso uccide, or al lion minaccia; quanto è più ardita fera più s'inselva, e 'l sangue a tutte drento al cor s'aghiaccia; la selva trema e gli cede ogni pianta, gli arbori abbatte o sveglie, o rami schianta. %33 Ah quanto a mirar Iulio è fera cosa % \sinossi{Descrizione\\ di Iulio\\ nella caccia} romper la via dove più 'l bosco è folto per trar di macchia la bestia crucciosa, con verde ramo intorno al capo avolto, colla chioma arruffata e polverosa, e d'onesto sudor bagnato il volto! Ivi consiglio a sua fera vendetta prese Amor, che ben loco e tempo aspetta; %34 e con sua man di leve aier compuose % \sinossi{Che arte\\usassi Amore\\ad innamorarlo} l'imagin d'una cervia altera e bella: con alta fronte, con corna ramose, candida tutta, leggiadretta e snella. E come tra le fere paventose al gioven cacciator s'offerse quella, lieto spronò il destrier per lei seguire, pensando in brieve darli agro martire. %35 Ma poi che 'nvan dal braccio el dardo scosse, del foder trasse fuor la fida spada, e con tanto furor il corsier mosse, che 'l bosco folto sembrava ampia strada. La bella fera, come stanca fosse, più lenta tuttavia par che sen vada; ma quando par che già la stringa o tocchi, picciol campo riprende avanti alli occhi. %36 Quanto più segue invan la vana effigie, tanto più di seguirla invan s'accende; tuttavia preme sue stanche vestigie, sempre la giunge, e pur mai non la prende: qual fino al labro sta nelle onde stigie \sinossi{Comparazione} Tantalo, e 'l bel giardin vicin gli pende, ma qualor l'acqua o il pome vuol gustare, subito l'acqua e 'l pome via dispare. %37 Era già drieto alla sua desianza gran tratta da' compagni allontanato, né pur d'un passo ancor la preda avanza, e già tutto el destrier sente affannato; ma pur seguendo sua vana speranza, pervenne in un fiorito e verde prato: ivi sotto un vel candido li apparve lieta una ninfa, e via la fera sparve. %38 La fera sparve via dalle suo ciglia, ma 'l gioven della fera ormai non cura; anzi ristringe al corridor la briglia, e lo raffrena sovra alla verdura. Ivi tutto ripien di maraviglia pur della ninfa mira la figura: parli che dal bel viso e da' begli occhi una nuova dolcezza al cor gli fiocchi. %39 Qual tigre, a cui dalla pietrosa tana \sinossi{Comparazione} ha tolto il cacciator li suoi car figli; rabbiosa il segue per la selva ircana, che tosto crede insanguinar gli artigli; poi resta d'uno specchio all'ombra vana, all'ombra ch'e suoi nati par somigli; e mentre di tal vista s'innamora la sciocca, el predator la via divora. %40 Tosto Cupido entro a' begli occhi ascoso, % \sinossi{Attitudine\\ bella di\\ Cupido nel\\ ferir Iulio} al nervo adatta del suo stral la cocca, poi tira quel col braccio poderoso, tal che raggiugne e l'una e l'altra cocca; la man sinistra con l'oro focoso, la destra poppa colla corda tocca: né pria per l'aer ronzando esce 'l quadrello, che Iulio drento al cor sentito ha quello. %41 Ahi qual divenne! ah come al giovinetto % \sinossi{Come Iulio\\ s'innamorassi} corse il gran foco in tutte le midolle! che tremito gli scosse il cor nel petto! d'un ghiacciato sudor tutto era molle; e fatto ghiotto del suo dolce aspetto, giammai li occhi da li occhi levar puolle; ma tutto preso dal vago splendore, non s'accorge el meschin che quivi è Amore. %42 Non s'accorge ch'Amor lì drento è armato per sol turbar la suo lunga quiete; non s'accorge a che nodo è già legato, non conosce suo piaghe ancor segrete; di piacer, di disir tutto è invescato, e così il cacciator preso è alla rete. Le braccia fra sé loda e 'l viso e 'l crino, e 'n lei discerne un non so che divino. %43 Candida è ella, e candida la vesta, ma pur di rose e fior dipinta e d'erba; lo inanellato crin dall'aurea testa % \sinossi{Descrizione\\ breve\\ delle bellezze\\ della\\ sua donna} scende in la fronte umilmente superba. Rideli a torno tutta la foresta, e quanto può suo cure disacerba; nell'atto regalmente è mansueta, e pur col ciglio le tempeste acqueta. %44 Folgoron gli occhi d'un dolce sereno, ove sue face tien Cupido ascose; l'aier d'intorno si fa tutto ameno ovunque gira le luce amorose. Di celeste letizia il volto ha pieno, dolce dipinto di ligustri e rose; ogni aura tace al suo parlar divino, e canta ogni augelletto in suo latino. %45 Con lei sen va Onestate umile e piana \sinossi{Onestate} che d'ogni chiuso cor volge la chiave; con lei va Gentilezza in vista umana,\sinossi{Gentilezza} e da lei impara il dolce andar soave. Non può mirarli il viso alma villana, se pria di suo fallir doglia non have; tanti cori Amor piglia fere o ancide, quanto ella o dolce parla o dolce ride. %46 Sembra Talia se in man prende la cetra, \sinossi{Talia} sembra Minerva se in man prende l'asta; \sinossi{Minerva} se l'arco ha in mano, al fianco la faretra, giurar potrai che sia Diana casta. \sinossi{Diana} Ira dal volto suo trista s'arretra, e poco, avanti a lei, Superbia basta; ogni dolce virtù l'è in compagnia, \sinossi{Biltà,\\Leggiadria} Biltà la mostra a dito e Leggiadria. %47 Ell'era assisa sovra la verdura, allegra, e ghirlandetta avea contesta di quanti fior creassi mai natura, de' quai tutta dipinta era sua vesta. E come prima al gioven puose cura, alquanto paurosa alzò la testa; poi colla bianca man ripreso il lembo, levossi in piè con di fior pieno un grembo. %48 Già s'inviava, per quindi partire, la ninfa sovra l'erba, lenta lenta, lasciando il giovinetto in gran martire, che fuor di lei null'altro omai talenta. Ma non possendo el miser ciò soffrire, con qualche priego d'arrestarla tenta; per che, tutto tremando e tutto ardendo, così umilmente incominciò dicendo: %49 `O qual che tu ti sia, vergin sovrana,% \sinossi{Parole\\ di Iulio\\ alla ninfa} o ninfa o dea, ma dea m'assembri certo; se dea, forse se' tu la mia Diana; se pur mortal, chi tu sia fammi certo, ché tua sembianza è fuor di guisa umana; né so già io qual sia tanto mio merto, qual dal cel grazia, qual sì amica stella, ch'io degno sia veder cosa sì bella'. %50 Volta la ninfa al suon delle parole, lampeggiò d'un sì dolce e vago riso, che i monti avre' fatto ir, restare il sole: ché ben parve s'aprissi un paradiso. Poi formò voce fra perle e viole, tal ch'un marmo per mezzo avre' diviso; soave, saggia e di dolceza piena, da innamorar non ch'altri una Sirena: %51 `Io non son qual tua mente invano auguria, % \sinossi{Risposta\\ della ninfa} non d'altar degna, non di pura vittima; ma là sovra Arno innella vostra Etruria sto soggiogata alla teda legittima; mia natal patria è nella aspra Liguria, \sinossi{Genova} sovra una costa alla riva marittima, ove fuor de' gran massi indarno gemere si sente il fer Nettunno e irato fremere. %52 Sovente in questo loco mi diporto, qui vegno a soggiornar tutta soletta; questo è de' mia pensieri un dolce porto, qui l'erba e' fior, qui il fresco aier m'alletta; quinci il tornare a mia magione è accorto, qui lieta mi dimoro Simonetta, all'ombre, a qualche chiara e fresca linfa, e spesso in compagnia d'alcuna ninfa. %53 Io soglio pur nelli ociosi tempi, quando nostra fatica s'interrompe, venire a' sacri altar ne' vostri tempî fra l'altre donne con l'usate pompe; ma perch'io in tutto el gran desir t'adempi e 'l dubio tolga che tuo mente rompe, meraviglia di mie bellezze tenere non prender già, ch'io nacqui in grembo a Venere. %54 Or poi che 'l sol sue rote in basso cala, % \sinossi{Descrizione\\ della sera} e da questi arbor cade maggior l'ombra, già cede al grillo la stanca cicala, già 'l rozo zappator del campo sgombra, e già dell'alte ville il fumo essala, la villanella all'uom suo el desco ingombra; omai riprenderò mia via più accorta, e tu lieto ritorna alla tua scorta'. %55 Poi con occhi più lieti e più ridenti, % \sinossi{Come\\ la ninfa\\ si parte} tal che 'l ciel tutto asserenò d'intorno, mosse sovra l'erbetta e passi lenti con atto d'amorosa grazia adorno. Feciono e boschi allor dolci lamenti e gli augelletti a pianger cominciorno; ma l'erba verde sotto i dolci passi bianca, gialla, vermiglia e azurra fassi. %56 Che de' far Iulio? Ahimè, ch'e' pur desidera % \sinossi{L'autore\\ di Iulio} seguir sua stella e pur temenza il tiene: sta come un forsennato, e 'l cor gli assidera, e gli s'aghiaccia el sangue entro le vene; sta come un marmo fisso, e pur considera lei che sen va né pensa di sue pene, fra sé lodando il dolce andar celeste e 'l ventilar dell'angelica veste. %57 E' par che 'l cor del petto se li schianti, e che del corpo l'alma via si fugga, e ch'a guisa di brina, al sol davanti, in pianto tutto si consumi e strugga. Già si sente esser un degli altri amanti, e pargli ch'ogni vena Amor li sugga; or teme di seguirla, or pure agogna, qui 'l tira Amor, quinci il ritrae vergogna. %58 `U' sono or, Iulio, le sentenzie gravi, % \sinossi{Parole\\ dell'autore\\ a Iulio} le parole magnifiche e' precetti con che i miseri amanti molestavi? Perché pur di cacciar non ti diletti? Or ecco ch'una donna ha in man le chiavi d'ogni tua voglia, e tutti in sé ristretti tien, miserello, i tuoi dolci pensieri; vedi chi tu se' or, chi pur dianzi eri. %59 Dianzi eri d'una fera cacciatore, più bella fera or t'ha ne' lacci involto; dianzi eri tuo, or se' fatto d'Amore, sei or legato, e dianzi eri disciolto. Dov'è tuo libertà, dov'è 'l tuo core? Amore e una donna te l'ha tolto. Ahi, come poco a sé creder uom degge! ch'a virtute e fortuna Amor pon legge'. %60 La notte che le cose ci nasconde \sinossi{Descrizione\\ della notte} tornava ombrata di stellato ammanto, e l'usignuol sotto l'amate fronde cantando ripetea l'antico pianto, ma sola a' sua lamenti Ecco risponde, ch'ogni altro augel quetato avea già 'l canto; dalla chimmeria valle uscian le torme de' Sogni negri con diverse forme. %61 E gioven che restati nel bosco erono, vedendo il cel già le sue stelle accendere, sentito il segno, al cacciar posa ferono; ciascun s'affretta a lacci e reti stendere, poi colla preda in un sentier si schierono: ivi s'attende sol parole a vendere, ivi menzogne a vil pregio si mercono; poi tutti del bel Iulio fra sé cercono. %62 Ma non veggendo il car compagno intorno, ghiacciossi ognun di subita paura che qualche cruda fera il suo ritorno non li 'mpedisca o altra ria sciagura. Chi mostra fuochi, chi squilla el suo corno, chi forte il chiama per la selva oscura, le lunghe voci ripercosse abondono, e `Iulio Iulio' le valli rispondono. %63 Ciascun si sta per la paura incerto, gelato tutto, se non ch'ei pur chiama; veggiono il cel di tenebre coperto, né san dove cercar, bench'ognun brama. Pur `Iulio Iulio' suona il gran diserto; non sa che farsi omai la gente grama. Ma poi che molta notte indarno spesono, dolenti per tornarsi il cammin presono. %64 Cheti sen vanno e pure alcun col vero la dubia speme alquanto riconforta, ch'el sia rèdito per altro sentiero al loco ove s'invia la loro scorta. Ne' petti ondeggia or questo or quel pensiero, che fra paura e speme il cor traporta: così raggio, che specchio mobil ferza, \sinossi{Comparazione} per la gran sala or qua or là si scherza. %65 Ma 'l gioven, che provato avea già l'arco ch'ogni altra cura sgombra fuor del petto, d'altre speme e paure e pensier carco, era arrivato alla magion soletto. Ivi pensando al suo novello incarco stava in forti pensier tutto ristretto, quando la compagnia piena di doglia tutta pensosa entrò dentro alla soglia. %66 Ivi ciascun più da vergogna involto per li alti gradi sen va lento lento: quali i pastori a cui il fer lupo ha tolto \sinossi{Comparazione} il più bel toro del cornuto armento, tornonsi a lor signor con basso volto, né s'ardiscon d'entrar all'uscio drento; stan sospirosi e di dolor confusi, e ciascun pensa pur come sé scusi. %67 Ma tosto ognuno allegro alzò le ciglia, veggendo salvo lì sì caro pegno: tal si fe', poi che la sua dolce figlia \sinossi{Comparazione} ritrovò, Ceres giù nel morto regno. Tutta festeggia la lieta famiglia con essi, e Iulio di gioir fa segno, e quanto el può nel cor preme sua pena e il volto di letizia rasserena. %68 Ma fatta Amor la sua bella vendetta, % \sinossi{Quello che\\ facessi Amore\\ dopo la sua\\ vendetta} mossesi lieto pel negro aere a volo, e ginne al regno di sua madre in fretta, ov'è de' picciol suoi fratei lo stuolo: al regno ov'ogni Grazia si diletta, \sinossi{Regno di Venere} ove Biltà di fiori al crin fa brolo, \sinossi{Amori. Grazie} ove tutto lascivo, drieto a Flora, \sinossi{Biltà. Flora} Zefiro vola e la verde erba infiora. \sinossi{Zefiro} %69 Or canta meco un po' del dolce regno, % \sinossi{Invocazione\\ a\\ Erato musa} Erato bella, che 'l nome hai d'amore; tu sola, benché casta, puoi nel regno secura entrar di Venere e d'Amore; tu de' versi amorosi hai sola il regno, teco sovente a cantar viensi Amore; e, posta giù dagli omer la faretra, tenta le corde di tua bella cetra. %70 Vagheggia Cipri un dilettoso monte, % \sinossi{Descrizione\\ della casa\\ di Venere} che del gran Nilo e sette corni vede e 'l primo rosseggiar dell'orizonte, ove poggiar non lice al mortal piede. Nel giogo un verde colle alza la fronte, sotto esso aprico un lieto pratel siede, u' scherzando tra' fior lascive aurette fan dolcemente tremolar l'erbette. %71 Corona un muro d'or l'estreme sponde con valle ombrosa di schietti arbuscelli, ove in su' rami fra novelle fronde cantano i loro amor soavi augelli. Sentesi un grato mormorio dell'onde, che fan duo freschi e lucidi ruscelli, \sinossi{Due ruscelli} versando dolce con amar liquore, ove arma l'oro de' suoi strali Amore. %72 Né mai le chiome del giardino eterno tenera brina o fresca neve imbianca; ivi non osa entrar ghiacciato verno, non vento o l'erbe o li arbuscelli stanca; ivi non volgon gli anni il lor quaderno, ma lieta Primavera mai non manca, \sinossi{Primavera} ch'e suoi crin biondi e crespi all'aura spiega, e mille fiori in ghirlandetta lega. %73 Lungo le rive e frati di Cupido, \sinossi{Amori} che solo uson ferir la plebe ignota, con alte voci e fanciullesco grido \sinossi{Compagnia\\ delli Amori} aguzzon lor saette ad una cota. Piacere e Insidia, posati in sul lido, \sinossi{Piacere, Insidia} volgono il perno alla sanguigna rota, e 'l fallace Sperar col van Disio \sinossi{Speme, Disio} spargon nel sasso l'acqua del bel rio. %74 Dolce Paura e timido Diletto, \sinossi{Paura, Diletto} dolce Ire e dolce Pace insieme vanno; \sinossi{Ire, Pace} le Lacrime si lavon tutto il petto \sinossi{Lacrime} e 'l fiumicello amaro crescer fanno; Pallore smorto e paventoso Affetto \sinossi{Pallore, Spavento} con Magreza si duole e con Affanno; \sinossi{Magrezza, Affanno} vigil Sospetto ogni sentiero spia, \sinossi{Sospetto} Letizia balla in mezo della via. \sinossi{Letizia} %75 Voluttà con Belleza si gavazza, \sinossi{Voluttà. Belleza} va fuggendo il Contento e siede Angoscia, \sinossi{Contento. Angoscia} el ceco Errore or qua or là svolazza, \sinossi{Errore} percuotesi il Furor con man la coscia; \sinossi{Furore} la Penitenzia misera stramazza, \sinossi{Penitenzia} che del passato error s'è accorta poscia, nel sangue Crudeltà lieta si ficca, \sinossi{Crudeltà.\\ Desperazione} e la Desperazion se stessa impicca. %76 Tacito Inganno e simulato Riso \sinossi{Inganno, Riso} con Cenni astuti messaggier de' cori, \sinossi{Cenni} e fissi Sguardi, con pietoso viso, \sinossi{Sguardi} tendon lacciuoli a Gioventù tra' fiori. \sinossi{Gioventù} Stassi, col volto in sulla palma assiso, \sinossi{Pianto} el Pianto in compagnia de' suo' Dolori; \sinossi{Dolori} e quinci e quindi vola sanza modo Licenzia non ristretta in alcun nodo. \sinossi{Licenzia} %77 Con tal milizia e tuoi figli accompagna Venere bella, madre delli Amori. Zefiro il prato di rugiada bagna, \sinossi{Zefiro} spargendolo di mille vaghi odori: ovunque vola, veste la campagna di rose, gigli, violette e fiori; l'erba di sue belleze ha maraviglia: bianca, cilestra, pallida e vermiglia. %78 Trema la mammoletta verginella % \sinossi{Varie guise\\ di fiori} con occhi bassi, onesta e vergognosa; ma vie più lieta, più ridente e bella, \sinossi{Viola mammola} ardisce aprire il seno al sol la rosa: \sinossi{Rosa} questa di verde gemma s'incappella, quella si mostra allo sportel vezosa, l'altra, che 'n dolce foco ardea pur ora, languida cade e 'l bel pratello infiora. %79 L'alba nutrica d'amoroso nembo gialle, sanguigne e candide viole; \sinossi{Viole} descritto ha 'l suo dolor Iacinto in grembo, \sinossi{Iacinto} Narcisso al rio si specchia come suole; \sinossi{Narcisso} in bianca vesta con purpureo lembo si gira Clizia palidetta al sole; \sinossi{Clizia} Adon rinfresca a Venere il suo pianto, \sinossi{Adone} tre lingue mostra Croco, e ride Acanto. \sinossi{Croco, Acanto} %80 Mai rivestì di tante gemme l'erba la novella stagion che 'l mondo aviva. Sovresso il verde colle alza superba l'ombrosa chioma u' el sol mai non arriva; e sotto vel di spessi rami serba fresca e gelata una fontana viva, \sinossi{Fontana} con sì pura, tranquilla e chiara vena, che gli occhi non offesi al fondo mena. %81 L'acqua da viva pomice zampilla, che con suo arco il bel monte sospende; e, per fiorito solco indi tranquilla pingendo ogni sua orma, al fonte scende: dalle cui labra un grato umor distilla, che 'l premio di lor ombre alli arbor rende; ciascun si pasce a mensa non avara, e par che l'un dell'altro cresca a gara. %82 Cresce l'abeto schietto e sanza nocchi % \sinossi{Varie guise di\\ piante. Abete} da spander l'ale a Borea in mezo l'onde; l'elce che par di mèl tutta trabocchi, \sinossi{Elce} e 'l laur che tanto fa bramar suo fronde; \sinossi{Lauro} bagna Cipresso ancor pel cervio gli occhi \sinossi{Cipresso} con chiome or aspre, e già distese e bionde; ma l'alber, che già tanto ad Ercol piacque, \sinossi{Albero} col platan si trastulla intorno all'acque. \sinossi{Platano} %83 Surge robusto el cerro, et alto el faggio, \sinossi{Cerro, Faggio} nodoso el cornio, e 'l salcio umido e lento; % \sinossi{Cornio, Salcio} l'olmo fronzuto, e 'l frassin pur selvaggio; % \sinossi{Ormo, Frassino} el pino alletta con suoi fischi il vento. \sinossi{Pino} L'avorniol tesse ghirlandette al maggio, \sinossi{Avorniolo} ma l'acer d'un color non è contento; \sinossi{Acero} la lenta palma serba pregio a' forti, \sinossi{Palma} l'ellera va carpon co' piè distorti. \sinossi{Ellera} %84 Mostronsi adorne le vite novelle \sinossi{Vite} d'abiti varie e con diversa faccia: questa gonfiando fa crepar la pelle, questa racquista le già perse braccia; quella tessendo vaghe e liete ombrelle, pur con pampinee fronde Apollo scaccia; quella ancor monca piange a capo chino, spargendo or acqua per versar poi vino. %85 El chiuso e crespo bosso al vento ondeggia, \sinossi{Bosso} e fa la piaggia di verdura adorna; el mirto, che sua dea sempre vagheggia, \sinossi{Mirto} di bianchi fiori e verdi capelli orna. Ivi ogni fera per amor vaneggia, \sinossi{Varii\\ atti di fere} l'un ver l'altro i montoni armon le corna, l'un l'altro cozza, l'un l'altro martella, \sinossi{Montoni} davanti all'amorosa pecorella. %86 E mughianti giovenchi a piè del colle \sinossi{Giovenchi} fan vie più cruda e dispietata guerra, col collo e il petto insanguinato e molle, spargendo al ciel co' piè l'erbosa terra. Pien di sanguigna schiuma el cinghial bolle, \sinossi{Cinghiale} le larghe zanne arruota e il grifo serra, e rugghia e raspa e, per più armar sue forze, frega il calloso cuoio a dure scorze. %87 Pruovon lor punga e daini paurosi, \sinossi{Daini} e per l'amata druda arditi fansi; ma con pelle vergata, aspri e rabbiosi, e tigri infuriati a ferir vansi; \sinossi{Tigri} sbatton le code e con occhi focosi ruggendo i fier leon di petto dansi; \sinossi{Leoni} zufola e soffia il serpe per la biscia, \sinossi{Serpe} mentre ella con tre lingue al sol si liscia. \sinossi{Biscia} %88 El cervio appresso alla Massilia fera \sinossi{Cervio} co' piè levati la sua sposa abbraccia; fra l'erbe ove più ride primavera, l'un coniglio coll'altro s'accovaccia; \sinossi{Conigli} le semplicette lepri vanno a schiera, \sinossi{Lepri} de' can secure, ad amorosa traccia: sì l'odio antico e 'l natural timore ne' petti ammorza, quando vuole, Amore. %89 E muti pesci in frotta van notando % \sinossi{Varii\\ atti di pesci} dentro al vivente e tenero cristallo, e spesso intorno al fonte roteando guidon felice e dilettoso ballo; tal volta sovra l'acqua, un po' guizzando, mentre l'un l'altro segue, escono a gallo: ogni loro atto sembra festa e gioco, né spengon le fredde acque il dolce foco. %90 Li augelletti dipinti intra le foglie \sinossi{Augelli} fanno l'aere addolcir con nuove rime, e fra più voci un'armonia s'accoglie di sì beate note e sì sublime, che mente involta in queste umane spoglie non potria sormontare alle sue cime; e dove Amor gli scorge pel boschetto, salton di ramo in ramo a lor diletto. %91 Al canto della selva Ecco rimbomba, ma sotto l'ombra che ogni ramo annoda, la passeretta gracchia e a torno romba; \sinossi{Passera} spiega il pavon la sua gemmata coda, \sinossi{Pavone} bacia el suo dolce sposo la colomba, \sinossi{Colombi} e bianchi cigni fan sonar la proda; \sinossi{Cigni} e presso alla sua vaga tortorella \sinossi{Tortora} il pappagallo squittisce e favella. \sinossi{Pappagallo} %92 Quivi Cupido e' suoi pennuti frati, \sinossi{Cupido} lassi già di ferir uomini e dei, \sinossi{Amori} prendon diporto, e colli strali aurati fan sentire alle fere i crudi omei; la dea Ciprigna fra' suoi dolci nati \sinossi{Venere} spesso sen viene, e Pasitea con lei, % \sinossi{Pasitea, una delle\\ tre Grazie,\\ moglie del Sonno} quetando in lieve sonno gli occhi belli fra l'erbe e' fiori e' gioveni arbuscelli. %93 Muove dal colle, mansueta e dolce, la schiena del bel monte, e sovra i crini \sinossi{Palazo\\ di Venere} d'oro e di gemme un gran palazo folce, sudato già nei cicilian camini. Le tre Ore, che 'n cima son bobolce, \sinossi{Le tre Ore} pascon d'ambrosia i fior sacri e divini: né prima dal suo gambo un se ne coglie, ch'un altro al ciel più lieto apre le foglie. %94 Raggia davanti all'uscio una gran pianta, che fronde ha di smeraldo e pomi d'oro: e pomi ch'arrestar fenno Atalanta, ch'ad Ippomene dienno il verde alloro. Sempre sovresso Filomela canta, sempre sottesso è delle Ninfe un coro; spesso Imeneo col suon di sua zampogna tempra lor danze, e pur le noze agogna. %95 La regia casa il sereno aier fende, fiammeggiante di gemme e di fino oro, che chiaro giorno a meza notte accende; ma vinta è la materia dal lavoro. Sovra a colonne adamantine pende un palco di smeraldo, in cui già fuoro aneli e stanchi, drento a Mongibello, Sterope e Bronte et ogni lor martello. \sinossi{Sterope. Bronte} %96 Le mura a torno d'artificio miro forma un soave e lucido berillo; passa pel dolce oriental zaffiro nell'ampio albergo el dì puro e tranquillo; ma il tetto d'oro, in cui l'estremo giro si chiude, contro a Febo apre il vessillo; per varie pietre il pavimento ameno di mirabil pittura adorna il seno. %97 Mille e mille color formon le porte, % \sinossi{Che sculture\\ fussi\\ nelle porte} di gemme e di sì vivi intagli chiare, che tutte altre opre sarian roze e morte da far di sé natura vergognare: nell'una è insculta la 'nfelice sorte % \sinossi{Natività di Venere} del vecchio Celio, e in vista irato pare \sinossi{Celio} suo figlio, e colla falce adunca sembra \sinossi{Saturno} tagliar del padre le feconde membra. %98 Ivi la Terra con distesi ammanti \sinossi{Terra} par ch'ogni goccia di quel sangue accoglia, onde nate le Furie e' fier Giganti \sinossi{Furie} di sparger sangue in vista mostron voglia; \sinossi{Giganti} d'un seme stesso in diversi sembianti paion le Ninfe uscite sanza spoglia, \sinossi{Ninfe} pur come snelle cacciatrice in selva, gir saettando or una or altra belva. %99 Nel tempestoso Egeo in grembo a Teti \sinossi{Mare Egeo} si vede il frusto genitale accolto, sotto diverso volger di pianeti errar per l'onde in bianca schiuma avolto; e drento nata in atti vaghi e lieti una donzella non con uman volto, da zefiri lascivi spinta a proda, % \sinossi{Venere sovra\\ un nicchio} gir sovra un nicchio, e par che 'l cel ne goda. %100 Vera la schiuma e vero il mar diresti, e vero il nicchio e ver soffiar di venti; la dea negli occhi folgorar vedresti, e 'l cel riderli a torno e gli elementi; l'Ore premer l'arena in bianche vesti, l'aura incresparle e crin distesi e lenti; non una, non diversa esser lor faccia, come par ch'a sorelle ben confaccia. %101 Giurar potresti che dell'onde uscissi la dea premendo colla destra il crino, coll'altra il dolce pome ricoprissi; e, stampata dal piè sacro e divino, d'erbe e di fior l'arena si vestissi; poi, con sembiante lieto e peregrino, dalle tre ninfe in grembo fussi accolta, e di stellato vestimento involta. %102 Questa con ambe man le tien sospesa sopra l'umide trezze una ghirlanda d'oro e di gemme orientali accesa, questa una perla alli orecchi accomanda; l'altra al bel petto e' bianchi omeri intesa, par che ricchi monili intorno spanda, de' quai solien cerchiar lor proprie gole, quando nel ciel guidavon le carole. %103 Indi paion levate inver le spere seder sovra una nuvola d'argento: l'aier tremante ti parria vedere nel duro sasso, e tutto il cel contento; tutti li dei di sua biltà godere, e del felice letto aver talento: ciascun sembrar nel volto meraviglia, con fronte crespa e rilevate ciglia. %104 Nello estremo, se stesso el divin fabro % \sinossi{Vulcano\\ marito di\\ Venere} formò felice di sì dolce palma, ancor dalla fucina irsuto e scabro, quasi obliando per lei ogni salma, con desire aggiugnendo labro a labro come tutta d'amor gli ardessi l'alma: e par vie maggior fuoco acceso in ello, che quel ch'avea lasciato in Mongibello. %105 Nell'altra in un formoso e bianco tauro % \sinossi{Intagli\\ nella porta\\ Europa} si vede Giove per amor converso portarne il dolce suo ricco tesauro, e lei volgere il viso al lito perso in atto paventosa; e i bei crin d'auro scherzon nel petto per lo vento avverso; la vesta ondeggia, e indrieto fa ritorno, l'una man tiene al dorso, e l'altra al corno. %106 Le 'gnude piante a sé ristrette accoglie quasi temendo il mar che lei non bagne: tale atteggiata di paura e doglie par chiami invan le dolci sue compagne; le qual rimase tra fioretti e foglie dolenti Europa ciascheduna piagne. `Europa', suona il lito, `Europa, riedi', e 'l tor nuota e talor li bacia e piedi. %107 Or si fa Giove un cigno or pioggia d'oro, % \sinossi{Giove\\ in cigno\\ oro, serpente, pastore, aquila} or di serpente or d'un pastor fa fede, per fornir l'amoroso suo lavoro; or transformarsi in aquila si vede, come Amor vuole, e nel celeste coro portar sospeso il suo bel Ganimede, \sinossi{Ganimede} qual di cipresso ha il biondo capo avinto, ignudo tutto e sol d'ellera cinto. %108 Fassi Nettunno un lanoso montone, % \sinossi{Nettuno\\ in montone,\\ giovenco} fassi un torvo giovenco per amore; fassi un cavallo il padre di Chirone, diventa Febo in Tessaglia un pastore: \sinossi{Saturno\\ in cavallo} e 'n picciola capanna si ripone colui ch'a tutto il mondo dà splendore, \sinossi{Febo pastore} né li giova a sanar sue piaghe acerbe perch'e' conosca la virtù dell'erbe. %109 Poi segue Dafne, e 'n sembianza si lagna \sinossi{Dafne} come dicessi: `O ninfa, non ten gire, ferma il piè, ninfa, sovra la campagna, ch'io non ti seguo per farti morire; così cerva lion, così lupo agna, ciascuna il suo nemico suol fuggire: me perché fuggi, o donna del mio core, cui di seguirti è sol cagione amore?' %110 Dall'altra parte la bella Arianna \sinossi{Arianna.\\ Teseo} colle sorde acque di Teseo si duole, e dell'aura e del sonno che la 'nganna; di paura tremando, come suole per picciol ventolin palustre canna, pare in atto aver prese tai parole: `Ogni fera di te meno è crudele, ognun di te più mi saria fedele'. %111 Vien sovra un carro, d'ellera e di pampino coverto Bacco, il qual duo tigri guidono, \sinossi{Bacco} e con lui par che l'alta arena stampino Satiri e Bacche, e con voci alte gridono: \sinossi{Satiri.\\ Bacche} quel si vede ondeggiar, quei par che 'nciampino, quel con un cembol bee, quelli altri ridono; qual fa d'un corno e qual delle man ciotola, quale ha preso una ninfa e qual si ruotola. %112 Sovra l'asin Silen, di ber sempre avido, \sinossi{Sileno} con vene grosse nere e di mosto umide, marcido sembra sonnacchioso e gravido, le luci ha di vin rosse infiate e fumide; l'ardite ninfe l'asinel suo pavido pungon col tirso, e lui con le man tumide a' crin s'appiglia; e mentre sì l'aizono, casca nel collo, e' satiri lo rizono. %113 Quasi in un tratto vista amata e tolta \sinossi{Proserpina} dal fero Pluto, Proserpina pare \sinossi{Pluto} sovra un gran carro, e la sua chioma sciolta a' zefiri amorosi ventilare; la bianca vesta in un bel grembo accolta sembra i colti fioretti giù versare: lei si percuote il petto, e 'n vista piagne, or la madre chiamando or le compagne. %114 Posa giù del leone il fero spoglio Ercole, e veste di femminea gonna \sinossi{Ercole} colui che 'l mondo da greve cordoglio avea scampato, et or serve una donna; e può soffrir d'Amor l'indegno orgoglio chi colli omer già fece al ciel colonna; e quella man con che era a tenere uso la clava ponderosa, or torce un fuso. %115 Gli omer setosi a Polifemo ingombrano \sinossi{Polifemo} l'orribil chiome e nel gran petto cascono, e fresche ghiande l'aspre tempie adombrano: d'intorno a lui le sue pecore pascono, né a costui dal cor già mai disgombrano le dolce acerbe cur che d'amor nascono, anzi, tutto di pianto e dolor macero, siede in un freddo sasso a piè d'un acero. %116 Dall'uno all'altro orecchio un arco face il ciglio irsuto lungo ben sei spanne; largo sotto la fronte il naso giace, paion di schiuma biancheggiar le zanne; tra' piedi ha 'l cane, e sotto il braccio tace una zampogna ben di cento canne: lui guata il mar che ondeggia, e alpestre note par canti, e muova le lanose gote, %117 e dica ch'ella è bianca più che il latte, ma più superba assai ch'una vitella, e che molte ghirlande gli ha già fatte, e serbali una cervia molto bella, un orsacchin che già col can combatte; e che per lei si macera e sfragella, e che ha gran voglia di saper notare per andare a trovarla insin nel mare. %118 Duo formosi delfini un carro tirono: \sinossi{Galatea} sovresso è Galatea che 'l fren corregge, e quei notando parimente spirono; ruotasi attorno più lasciva gregge: qual le salse onde sputa, e quai s'aggirono, qual par che per amor giuochi e vanegge; la bella ninfa colle suore fide di sì rozo cantor vezzosa ride. %119 Intorno al bel lavor serpeggia acanto, di rose e mirti e lieti fior contesto; con varii augei sì fatti, che il lor canto pare udir nelli orecchi manifesto: né d'altro si pregiò Vulcan mai tanto, né 'l vero stesso ha più del ver che questo; e quanto l'arte intra sé non comprende, la mente imaginando chiaro intende. %120 Questo è 'l loco che tanto a Vener piacque, \sinossi{Epilogo} a Vener bella, alla madre d'Amore; qui l'arcier frodolente prima nacque, che spesso fa cangiar voglia e colore, quel che soggioga il cel, la terra e l'acque, che tende alli occhi reti, e prende il core, dolce in sembianti, in atti acerbo e fello, giovene nudo, faretrato augello. %121 Or poi che ad ale tese ivi pervenne, forte le scosse, e giù calassi a piombo, tutto serrato nelle sacre penne, come a suo nido fa lieto colombo: l'aier ferzato assai stagion ritenne della pennuta striscia il forte rombo: ivi racquete le triunfante ale, superbamente inver la madre sale. %122 Trovolla assisa in letto fuor del lembo, pur mo' di Marte sciolta dalle braccia, il qual roverso li giacea nel grembo, pascendo gli occhi pur della sua faccia: di rose sovra a lor pioveva un nembo per rinnovarli all'amorosa traccia; ma Vener dava a lui con voglie pronte mille baci negli occhi e nella fronte. %123 Sovra e d'intorno i piccioletti Amori scherzavon nudi or qua or là volando: e qual con ali di mille colori giva le sparte rose ventilando, qual la faretra empiea de' freschi fiori, poi sovra il letto la venia versando, qual la cadente nuvola rompea fermo in su l'ale, e poi giù la scotea. %124 Come avea delle penne dato un crollo, così l'erranti rose eron riprese: nessun del vaneggiar era satollo; quando apparve Cupido ad ale tese, ansando tutto, e di sua madre al collo gittossi, e pur co' vanni el cor li accese, allegro in vista, e sì lasso ch'a pena potea ben, per parlar, riprender lena. %125 `Onde vien, figlio, o qual n'apporti nuove?', Vener li disse, e lo baciò nel volto: `Onde esto tuo sudor? qual fatte hai pruove? qual dio, qual uomo hai ne' tuo' lacci involto? Fai tu di nuovo in Tiro mughiar Giove? o Saturno ringhiar per Pelio folto? Che che ciò sia, non umil cosa parmi, o figlio, o sola mia potenzia et armi'. \libro {Secondo} \Nstanza{0} %1 Eron già tutti alla risposta intenti e pargoletti intorno all'aureo letto, quando Cupido con occhi ridenti, tutto protervo nel lascivo aspetto, si strinse a Marte, e colli strali ardenti della faretra gli ripunse il petto, e colle labra tinte di veleno baciollo, e 'l fuoco suo gli misse in seno. %2 Poi rispose alla madre: `E' non è vana la cagion che sì lieto a te mi guida: ch'i' ho tolto dal coro di Diana el primo conduttor, la prima guida, colui di cui gioir vedi Toscana, di cui già insino al ciel la fama grida, insino agl'Indi, insino al vecchio Mauro: Iulio, minor fratel del nostro Lauro. %3 L'antica gloria e 'l celebrato onore chi non sa della Medica famiglia, e del gran Cosmo, italico splendore, di cui la patria sua si chiamò figlia? E quanto Petro al paterno valore n'aggiunse pregio, e con qual maraviglia dal corpo di sua patria rimosse abbia le scelerate man, la crudel rabbia? %4 Di questo e della nobile Lucrezia nacquene Iulio, e pria ne nacque Lauro: Lauro che ancor della bella Lucrezia arde, e lei dura ancor si mostra a Lauro, rigida più che a Roma già Lucrezia, o in Tessaglia colei che è fatta un lauro; né mai degnò mostrar di Lauro agli occhi se non tutta superba e suo' begli occhi. %5 Non priego non lamento al meschin vale, ch'ella sta fissa come torre al vento, perch'io lei punsi col piombato strale, e col dorato lui, di che or mi pento; ma tanto scoterò, madre, queste ale, che 'l foco accenderolli al petto drento: richiede ormai da noi qualche restauro, la lunga fedeltà del franco Lauro, %6 che tutt'or parmi pur veder pel campo, armato lui, armato el corridore, come un fer drago gir menando vampo, abatter questo e quello a gran furore, l'armi lucenti sue sparger un lampo che tremar faccin l'aier di splendore; poi, fatto di virtute a tutti essemplo, riportarne il trionfo al nostro templo. %7 E che lamenti già le Muse ferno, e quanto Apollo s'è già meco dolto ch'i' tenga il lor poeta in tanto scherno! et io con che pietà suo' versi ascolto! ch'i' l'ho già visto al più rigido verno, pien di pruina e crin, le spalle e 'l volto, dolersi colle stelle e colla luna, di lei, di noi, di suo crudel fortuna. %8 Per tutto el mondo ha nostre laude sparte, mai d'altro mai se non d'amor ragiona; e potea dir le tue fatiche, o Marte, le trombe e l'arme, e 'l furor di Bellona; ma volle sol di noi vergar le carte, e di quella gentil ch'a dir lo sprona: ond'io lei farò pia, madre, al suo amante ch'i' pur son tuo, non nato d'adamante. %9 I' non son nato di ruvida scorza, ma di te, madre bella, e son tuo figlio; né crudele esser deggio, e lui mi sforza a riguardarlo con pietoso ciglio. Assai provato ha l'amorosa forza, assai giaciuto è sotto 'l nostro artiglio; giust'è ch'e' faccia ormai co' sospir triegua, e del suo buon servir premio consegua. %10 Ma 'l bel Iulio ch'a noi stato è ribello, e sol di Delia ha seguito el trionfo, or drieto all'orme del suo buon fratello vien catenato innanzi al mio trionfo; né mosterrò già mai pietate ad ello finché ne porterà nuovo trionfo: ch'i' gli ho nel cor diritta una saetta dagli occhi della bella Simonetta. %11 E sai quant'è nel petto e nelle braccia, quanto sopra 'l destriero è poderoso: pur mo' lo vidi sì feroce in caccia, che parea il bosco di lui paventoso; tutta aspreggiata avea la bella faccia, tutto adirato, tutto era focoso. Tal vid'io te là sovra el Termodonte cavalcar, Marte, e non con esta fronte. %12 Questa è, madre gentil, la mia vittoria; quinci è 'l mio travagliar, quinci è 'l sudore; così va sovra al cel la nostra gloria, el nostro pregio, el nostro antico onore; così mai scancellata la memoria fia di te, madre, e del tuo figlio Amore; così canteran sempre e versi e cetre li stral, le fiamme, gli archi e le faretre'. %13 Fatta ella allor più gaia nel sembiante, balenò intorno uno splendor vermiglio, da fare un sasso divenire amante, non pur te, Marte; e tale ardea nel ciglio, qual suol la bella Aurora fiammeggiante; poi tutto al petto si ristringe el figlio, e trattando con man suo chiome bionde, tutto el vagheggia e lieta li risponde: %14 `Assai, bel figlio, el tuo desir m'agrada, che nostra gloria ognor più l'ale spanda; chi erra torni alla verace strada, obligo è di servir chi ben comanda. Pur convien che di nuovo in campo vada Lauro, e si cinga di nuova ghirlanda: ché virtù nelli affanni più s'accende, come l'oro nel fuoco più risplende. %15 Ma prima fa mestier che Iulio s'armi sì che di nostra fama el mondo adempi; e tal del forte Achille or canta l'armi e rinnuova in suo stil gli antichi tempi, che diverrà testor de' nostri carmi, cantando pur degli amorosi essempi: onde la gloria nostra, o bel figliuolo, vedrèn sopra le stelle alzarsi a volo. %16 E voi altri, mie' figli, al popol tosco lieti volgete le trionfante ale, giten tutti fendendo l'aer fosco; tosto prendete ognun l'arco e lo strale, di Marte el dolce ardor sen venga vosco. Or vedrò, figli, qual di voi più vale: gite tutti a ferir nel toscan coro ch'i' serbo a qual fie 'l primo un arco d'oro'. %17 Tosto al suo dire ognuno arco e quadrella riprende, e la faretra al fianco alluoga, come, al fischiar del comito, sfrenella la 'gnuda ciurma e remi, e mette in voga. Già per l'aier ne va la schiera snella, già sopra la città calon con foga: così e vapor pel bel seren giù scendono, che paion stelle mentre l'aier fendono. %18 Vanno spiando gli animi gentili che son dolce esca all'amoroso foco; sovress'e' batton forte i lor fucili, e fanli apprender tutti a poco a poco. L'ardor di Marte, ine' cor giovenili s'affige, e quelli infiamma del suo gioco; e mentre stanno involti nel sopore, pare a' gioven far guerra per Amore. %19 E come quando il sol li Pesci accende, tutta la terra è di suo virtù pregna, che poscia a primavera fuor si estende, mostrando al cel verde e fiorita insegna; così ne' petti ove lor foco scende s'abbarbica un disio che drento regna, un disio sol d'eterna gloria e fama, che le 'nfiammate menti a virtù chiama. %20 Esce sbandita la viltà d'ogni alma, e, benché tarda sia, Pigrizia fugge; a libertate l'una e l'altra palma legon gli Amori, e quella irata rugge. Solo in disio di gloriosa palma ogni cor giovenil s'accende e strugge; e dentro al petto sorpriso dal sonno li spirite' d'amor posar non ponno. %21 E così mentre ognun dormendo langue, ne' lacci è 'nvolto onde già mai non esce; ma come suol fra l'erba el picciol angue tacito errare, o sotto l'onde el pesce, sì van correndo per l'ossa e pel sangue gli ardenti spiritelli, e 'l foco cresce. Ma Vener, com'e suo' alati corrieri vide partiti, mosse altri pensieri. %22 Pasitea fe' chiamar, del Sonno sposa, Pasitea, delle Grazie una sorella, Pasitea che dell'altre è più amorosa, quella che sovra a tutte è la più bella; e disse: `Muovi, o ninfa graziosa, truova el consorte tuo, veloce e snella: fa che e' mostri al bel Iulio tale imago, che 'l facci di mostrarsi al campo vago'. %23 Così le disse; e già la ninfa accorta correa sospesa per l'aier serena; quete sanza alcun rombo l'ale porta, e lo ritruova in men che non balena. Al carro della Notte el facea scorta, e l'aria intorno avea di Sogni piena, di varie forme e stranier portamenti, e facea racquetar li fiumi e i venti. %24 Come la ninfa a' suoi gravi occhi apparve, col folgorar d'un riso gliele aperse: ogni nube dal ciglio via disparve, che la forza del raggio non sofferse. Ciascun de' Sogni drento alle lor larve gli si fe' incontro, e 'l viso discoverse; ma lei, poi che Morfeo con gli altri scelse, gli chiese al Sonno, e tosto indi si svelse. %25 Indi si svelse, e di quanto convenne tosto ammonilli, e partì sanza posa; a pena tanto el ciglio alto sostenne, che fatta era già tutta sonnacchiosa; vassen volando sanza muover penne, e ritorna a sua dea, lieta e gioiosa. Gli scelti Sogni ad ubidir s'affrettono e sotto nuove fogge si rassettono: %26 quali i soldati che di fuor s'attendono, quando sanza sospetto et arme giacciono, per suon di tromba al guerreggiar s'accendono, vestonsi le corazze e gli elmi allacciono, e giù dal fianco le spade sospendono, grappon le lance e' forti scudi imbracciono; e così divisati i destrier pungono tanto ch'alla nimica schiera giungono. %27 Tempo era quando l'alba s'avicina, e divien fosca l'aria ove era bruna; e già 'l carro stellato Icaro inchina, e par nel volto scolorir la luna: quando ciò ch'al bel Iulio el cel destina mostrono i Sogni, e sua dolce fortuna; dolce all'entrar, all'uscir troppo amara, però che sempre dolce al mondo è rara. %28 Pargli veder feroce la sua donna, tutta nel volto rigida e proterva, legar Cupido alla verde colonna della felice pianta di Minerva, armata sopra alla candida gonna, che 'l casto petto col Gorgon conserva; e par che tutte gli spennecchi l'ali, e che rompa al meschin l'arco e li strali. %29 Ahimè, quanto era mutato da quello Amor che mo' tornò tutto gioioso! Non era sovra l'ale altero e snello, non del trionfo suo punto orgoglioso: anzi merzé chiamava el meschinello miseramente, e con volto pietoso gridando a Iulio: `Miserere mei, difendimi, o bel Iulio, da costei'. %30 E Iulio a lui dentro al fallace sonno parea risponder con mente confusa: `Come poss'io ciò far dolce mio donno, ché nell'armi di Palla è tutta chiusa? Vedi i mie' spirti che soffrir non ponno la terribil sembianza di Medusa, e 'l rabbioso fischiar delle ceraste e 'l volto e l'elmo e 'l folgorar dell'aste'. %31 `Alza gli occhi, alza, Iulio, a quella fiamma che come un sol col suo splendor t'adombra: quivi è colei che l'alte mente infiamma, e che de' petti ogni viltà disgombra. Con essa, a guisa di semplice damma, prenderai questa ch'or nel cor t'ingombra tanta paura, e t'invilisce l'alma; ché sol ti serba lei trionfal palma'. %32 Così dicea Cupido, e già la Gloria scendea giù folgorando ardente vampo: con essa Poesia, con essa Istoria volavon tutte accese del suo lampo. Costei parea ch'ad acquistar vittoria rapissi Iulio orribilmente in campo, e che l'arme di Palla alla sua donna spogliassi, e lei lasciassi in bianca gonna. %33 Poi Iulio di suo spoglie armava tutto, e tutto fiammeggiar lo facea d'auro; quando era al fin del guerreggiar condutto, al capo gl'intrecciava oliva e lauro. Ivi tornar parea suo gioia in lutto: vedeasi tolto il suo dolce tesauro, vedea suo ninfa in trista nube avolta, dagli occhi crudelmente esserli tolta. %34 L'aier tutta parea divenir bruna, e tremar tutto dello abisso il fondo; parea sanguigno el cel farsi e la luna, e cader giù le stelle nel profondo. Poi vede lieta in forma di Fortuna surger suo ninfa e rabbellirsi il mondo, e prender lei di sua vita governo, e lui con seco far per fama eterno. %35 Sotto cotali ambagi al giovinetto fu mostro de' suo' fati il leggier corso: troppo felice, se nel suo diletto non mettea morte acerba il crudel morso. Ma che puote a Fortuna esser disdetto, ch'a nostre cose allenta e stringe il morso? Né val perch'altri la lusinghi o morda, ch'a suo modo ne guida e sta pur sorda. %36 Adunque il tanto lamentar che giova? A che di pianto pur bagnar le gote, se pur convien che lei ne guidi e muova? Se mortal forza contro a lei non puote? Se con sue penne il nostro mondo cova, e tempra e volge, come vuol, le rote? Beato qual da lei suo' pensier solve, e tutto drento alla virtù s'involve! %37 O felice colui che lei non cura e che a' suoi gravi assalti non si arrende, ma come scoglio che incontro al mar dura, o torre che da Borea si difende, suo' colpi aspetta con fronte sicura, e sta sempre provisto a sua vicende! Da sé sol pende, e 'n se stesso si fida, né guidato è dal caso, anzi lui guida. %38 Già carreggiando il carro Aurora lieta di Pegaso stringea l'ardente briglia; surgea del Gange el bel solar pianeta, raggiando intorno coll'aurate ciglia; già tutto parea d'oro il monte Oeta, fuggita di Latona era la figlia; surgevon rugiadosi in loro stelo li fior chinati dal notturno gelo. %39 La rondinella sovra al nido allegra, cantando salutava il nuovo giorno; e già de' Sogni la compagnia negra a sua spilonca avean fatto ritorno; quando con mente insieme lieta et egra si destò Giulio e girò gli occhi intorno: gli occhi intorno girò tutto stupendo, d'amore e d'un disio di gloria ardendo. %40 Pargli vedersi tuttavia davanti la Gloria armata in su l'ale veloce chiamare a giostra e valorosi amanti, e gridar `Iulio Iulio' ad alta voce. Già sentir pargli le trombe sonanti, già divien tutto nell'arme feroce: così tutto focoso in piè risorge, e verso il cel cota' parole porge: %41 `O sacrosanta dea, figlia di Giove, per cui il tempio di Ian s'apre e riserra, la cui potente destra serba e muove intero arbitrio di pace e di guerra; vergine santa, che mirabil pruove mostri del tuo gran nume in cielo e 'n terra, che i valorosi cuori a virtù infiammi, soccorrimi or, Tritonia, e virtù dammi. %42 S'io vidi drento alle tue armi chiusa la sembianza di lei che me a me fura; s'io vidi il volto orribil di Medusa far lei contro ad Amor troppo esser dura; se poi mie mente dal tremor confusa sotto il tuo schermo diventò secura; s'Amor con teco a grande opra mi chiama, mostrami il porto, o dea, d'eterna fama. %43 E tu che drento alla 'nfocata nube degnasti tua sembianza dimostrarmi, e ch'ogni altro pensier dal cor mi rube, fuor che d'amor dal qual non posso atarmi; e m'infiammasti come a suon di tube animoso caval s'infiamma all'armi, fammi in tra gli altri, o Gloria, sì solenne, ch'io batta insino al cel teco le penne. %44 E s'io son, dolce Amor, s'io son pur degno essere il tuo campion contro a costei, contro a costei da cui con forza e 'ngegno, se ver mi dice il sonno, avinto sei, fa sì del tuo furor mio pensier pregno, che spirto di pietà nel cor li crei: mie virtù per se stesse ha l'ale corte, perché troppo è 'l valor di costei forte. %45 Troppo forte è, signor, il suo valore, che, come vedi, il tuo poter non cura: e tu pur suoli al cor gentile, Amore, riparar come augello alla verdura. Ma se mi presti il tuo santo furore, leverai me sopra la tua natura; e farai, come suol marmorea rota, che lei non taglia e pure il ferro arrota. %46 Con voi me 'n vengo, Amor, Minerva e Gloria, ché 'l vostro foco tutto 'l cor m'avvampa: da voi spero acquistar l'alta vittoria, ché tutto acceso son di vostra lampa; datemi aita sì che ogni memoria segnar si possa di mia eterna stampa, e facci umil colei ch'or mi disdegna: ch'io porterò di voi nel campo insegna. \endVersus \opera{FABULA DI ORFEO} \Drama \Versus \numerus {1} \Facies \strophae {} \persona*[1]{Orfeo} \ottave \persona{Mercurio} \[annunziatore delle feste\] Silenzio. Udite. E' fu già un pastore figliuol d'Apollo, chiamato Aristeo. Costui amò con sì sfrenato ardore Euridice, che moglie fu di Orfeo, che seguendola un giorno per amore fu cagion del suo caso acerbo e reo: perché, fuggendo lei vicina all'acque, una biscia la punse; e morta giacque. Orfeo cantando all'Inferno la tolse, ma non poté servar la legge data, ché 'l poverel tra via dietro si volse sì che di nuovo ella gli fu rubata: però ma' più amar donna non volse, e dalle donne gli fu morte data. \0\[Sèguita un \persona{pastore schiavone}\,\] State tenta, bragata! Bono argurio, ché di cievol in terra vien Marcurio. \terzine \persona{Mopso}\[pastor vecchio\] Hai tu veduto un mio vitelin bianco, ch'ha una macchia nera in sulla fronte e duo piè rossi et un ginocchio e 'l fianco? \persona{Aristeo}\[pastor giovane\] Caro mio Mopso, a piè di questo fonte non son venuti questa mane armenti, ma senti' ben mugghiar là drieto al monte. Va', Tirsi, e guarda un poco se tu 'l senti. Tu, Mopso, intanto ti starai qui meco, ch'i' vo' ch'ascolti alquanto i mie' lamenti. Ier vidi sotto quello ombroso speco una ninfa più bella che Dïana, ch'un giovane amatore avea seco. Com'io vidi sua vista più che umana, subito mi si scosse il cor nel pecto e mie mente d'amor divenne insana: tal ch'io non sento, Mopso, più dilecto ma sempre piango, e 'l cibo non mi piace, e senza mai dormir son stato in letto. \persona{Mopso}\[pastore\] Aristeo mio, questa amorosa face se di spegnerla tosto non fai pruova, presto vedrai turbata ogni tua pace. Sappi ch'amor non m'è già cosa nuova; so come mal, quand'è vecchio, si regge: rimedia tosto, or che 'l rimedio giova. Se tu pigli Aristeo, suo dure legge, e' t'uscirà del capo e sciami et orti e vite e biade e paschi e mandre e gregge. \persona{Aristeo}\[pastore\] Mopso, tu parli queste cose a' morti: sì che non spender meco tal parole, acciò che 'l vento via non se le porti. Aristeo ama e disamar non vuole, né guarir cerca di sì dolce doglie: quel loda Amor che di lui ben si duole. Ma se punto ti cal delle mie voglie, deh, tra' fuor della tasca la zampogna, {\numerus{} e canteren sotto l'ombrose foglie: } \numerus*{+0}ch'i' so che la mia ninfa el canto agogna. \persona{Canzona pastorale:} \canzona Udite, selve, mie dolce parole, poi che la ninfa mia udir non vuole. La bella ninfa è sorda al mio lamento e 'l suon di nostra fistula non cura: di ciò si lagna el mio cornuto armento, né vuol bagnar il grifo in acqua pura; non vuol toccar la tenera verdura, tanto del suo pastor gl'incresce e dole. Udite, selve, mie dolce parole. Ben si cura l'armento del padrone: la ninfa non si cura dell'amante, la bella ninfa che di sasso ha 'l core, anzi di ferro, anzi l'ha di diamante. Ella fugge da me sempre davante com'agnella dal lupo fuggir suole. Udite, selve, mie dolce parole. Digli, zampogna mia, come via fugge cogli anni insieme suo bellezza snella e digli come 'l tempo ne distrugge, né l'età persa mai si rinnovella: digli che sappi usar suo forma bella, ché sempre mai non son rose e viole. Udite, selve, mie dolce parole. Portate, venti, questi dolci versi drento all'orecchie della donna mia: dite quante io per lei lacrime versi e la pregate che crudel non sia; dite che la mie vita fugge via e si consuma come brina al sole. Udite, selve, mie dolce parole, poi che la ninfa mia udir non vuole. \ottave \persona{Mopso} \[pastore risponde\] El non è tanto el mormorio piacevole delle fresche acque che d'un sasso piombano, né quanto soffia un ventolino agevole fra le cime de' pini e quelle trombano, quanto le rime tue son sollazzevole, le rime tue che per tutto rimbombano: s'ella l'ode, verrà com'una cucciola. Ma ecco Tirsi che del monte sdrucciola. \0 \[Sèguita pur \persona{Mopso}\] Ch'è del vitello? ha'lo tu ritrovato? \persona{Tirsi} \[servo risponde\] Sì ho; così gli avessi el collo mozzo! ché poco men che non m'ha sbudellato, sì corse per volermi dar di cozzo. Pur l'ho poi nella mandria raviato, ma ben so dirti che gli ha pieno il gozzo: i' ti so dir che gli ha stivata l'epa in un campo di gran, tanto che crepa. Ma io ho vista una gentil donzella che va cogliendo fiori intorno al monte. I' non credo che Vener sia più bella, più dolce in acto o più superba in fronte: e parla e canta in sì dolce favella che i fiumi isvolgerebbe inverso il fonte; di neve e rose ha 'l volto e d'or la testa, tutta soletta e sotto bianca vesta. \persona{Aristeo} \[pastore\] Rimanti, Mopso, ch'i' la vo' seguire, perché l'è quella di chi io t'ho parlato. \persona{Mopso} \[pastore\] Guarda, Aristeo, che 'l troppo grande ardire non ti conduca in qualche tristo lato. \persona{Aristeo}\[pastore\] O mi convien questo giorno morire, o tentar quanta forza abbia 'l mie fato. Rimanti, Mopso, intorno a questo fonte, ch'i' vogl'ire a trovalla sopra 'l monte. \persona{Mopso} \[a Tirsi\] O Tirsi, che ti par del tuo car sire? Vedi tu quanto d'ogni senso è fore! Tu gli potresti pur talvolta dire quanta vergogna gli fa questo amore. \persona{Tirsi}\[risponde\] O Mopso, al servo sta bene ubidire, e matto è chi comanda al suo signore. Io so che gli è più saggio assai che noi: a me basta guardar le vacche e ' buoi. \persona{Aristeo}\[ad Euridice\] \Progressio \numerus {3334} \Forma \strophae {1 {\penalty 100} 00% 1 {\penalty 100} 00% 1 {\penalty 100} 00% 1 {\penalty 100} 000} Non mi fuggire, donzella, ch'i' ti son tanto amico e che più t'amo che la vita e 'l core. Ascolta, o ninfa bella, ascolta quel ch'i' dico; non fuggir, ninfa, chi ti porta amore. Non son qui lupo o orso, ma son tuo amatore: dunque rafrena il tuo volante corso. Poi che el pregar non vale e tu via ti dilegui, e' convien ch'io ti segui. Porgimi, Amor, porgimi or le tue ale! \(\1, cantando sopra il monte in su la lira e seguenti versi latini, li quali a proposito di messer Baccio Ugolino, attore de ditta persona d'Orfeo, sono in onore del Cardinale Mantuano, fu interrotto da uno pastore nunciatore della morte de Euridice:\) {\slshape \saffiche O meos longum modulata lusus quos amor primam docuit iuventam, flecte nunc mecum numeros novumque dic, lyra, carmen: non quod hirsutos agat huc leones; sed quod et frontem domini serenet, et levet curas, penitusque doctas mulceat aures. Vindicat nostros sibi iure cantus qui colit vates citharamque princeps; ille cui sacro rutilus refulget crine galerus; ille cui flagrans triplici corona cinget auratam diadema frontem. Fallor? an vati bonus haec canenti dictat Apollo? Phoebe, quae dictas rata fac, precamur! Dignus est nostrae dominus Thaliae, cui celer versa fluat Hermus uni aureus urna; cui tuas mittat, Cytherea, conchas conscius primi Phaetontis Indus; ipsa cui dives properet beatum Copia cornu. Quippe non gazam pavidus repostam servat, Aeaeo similis draconi: sed vigil Famam secat, ac peremni imminet aevo. Ipsa Phoebeae vacat aula turbae dulcior blandis Heliconis umbris: et vocans doctos patet ampla toto ianua poste. Sic refert magnae titulis superbum stemma Gonzagae recidiva virtus, gaudet et fastos superare avitos aemulus haeres. Scilicet stirpem generosa suco poma commendant; timidumque nunquam vulturem foeto Iovis acer ales extudit ovo. Curre iam toto violentus amne, o sacris Minci celebrate Musis! Ecce Moecenas tibi nunc Maroque contigit uni! Iamque vicinas tibi subdat undas vel Padus multo resonans olore, quamlibet flentes animosus alnos astraque iactet. Candidas ergo volucres notarat Mantuam condens Tiberinus Ocnus, nempe quem Parcae docuit benignae conscia mater. } \(i)Seguitando Aristeo Euridice, ella si fugge drento alla Selva, dove punta dal serpente grida, e simile Aristeo.\) \ottave {\SpatiumSupra \personam {} \0 \[Segue poi \persona{Un Pastore} ad Orfeo così\] } Crudel novella ti rapporto, Orfeo: che tuo ninfa bellissima è defunta. Ella fuggiva l'amante Aristeo, ma quando fu sopra la riva giunta, da un serpente venenoso e reo ch'era fra l'erb'e fior, nel piè fu punta: e fu tanto possente e crudo el morso ch'ad un tratto finì la vita e 'l corso. \1 \[si lamenta per la morte di Euridice\] Dunque piangiamo, o sconsolata lira, ché più non si convien l'usato canto. Piangiam, mentre che 'l ciel ne' poli agira e Filomela ceda al nostro pianto. O cielo, o terra, o mare! o sorte dira! Come potrò soffrir mai dolor tanto? Euridice mia bella, o vita mia, senza te non convien che 'n vita stia. Andar convienmi alle tartaree porte e provar se là giù merzé s'empetra. Forse che svolgeren la dura sorte co' lacrimosi versi, o dolce cetra; forse ne diverrà pietosa Morte ché già cantando abbiam mosso una pietra, la cervia e 'l tigre insieme avemo accolti e tirate le selve, e ' fiumi svolti. \1 \[cantando giugne all'inferno\] Pietà! Pietà! del misero amatore pietà vi prenda, o spiriti infernali. Qua giù m'ha scorto solamente Amore, volato son qua giù colle sue ali. Posa, Cerbero, posa il tuo furore, ché quando intenderai tutte e' mie mali, non solamente tu piangerai meco, ma qualunque è qua giù nel mondo cieco. Non bisogna per me, Furie, mugghiare, non bisogna arricciar tanti serpenti: se voi sapessi le mie doglie amare, faresti compagnia a' mie lamenti. Lasciate questo miserel passare ch'ha 'l ciel nimico e tutti gli elementi, che vien per impetrar merzé da Morte: dunque gli aprite le ferrate porte. \persona{Pluto} \[pieno di maraviglia dice così\] Chi è costui che con suo dolce nota muove l'abisso, e con l'ornata cetra? I' veggo fissa d'Issïon la rota, Sisifo assiso sopra la sua petra e le Belide star con l'urna vota, né più l'acqua di Tantalo s'arretra; e veggo Cerber con tre bocche intento e le Furie aquietate al pio lamento. \persona{Minos} \[a Plutone\] Costui vien contro le legge de' Fati che non mandan qua giù carne non morta. Forse, o Pluton, che con latenti aguati per torti il regno qualche inganno porta. Gli altri, che similmente sono intrati come costui la irremeabil porta, sempre ci fur con tua vergogna e danno: sii cauto, o Pluton, qui cova inganno. \1 \[genuflesso a Plutone dice così\] O regnator di tutte quelle genti ch'hanno perduto la superna luce, al qual discende ciò che gli elementi, ciò che natura sotto 'l ciel produce, udite la cagion de' mie' lamenti. Pietoso amor de' nostri passi è duce: non per Cerber legar fei questa via, ma solamente per la donna mia. Una serpe tra' fior nascosa e l'erba mi tolse la mia donna, anzi il mio core: ond'io meno la vita in pena acerba, né posso più resistere al dolore. Ma se memoria alcuna in voi si serba del vostro celebrato antico amore, se la vecchia rapina a mente avete, Euridice mie bella mi rendete. Ogni cosa nel fine a voi ritorna, ogni cosa mortale a voi ricade: quanto cerchia la luna con suo corna convien ch'arrivi alle vostre contrade. Chi più chi men tra' superi soggiorna, ognun convien ch'arrivi a queste strade; quest'è de' nostri passi estremo segno: poi tenete di noi più longo regno. Così la ninfa mia per voi si serba quando suo morte gli darà natura. Or la tenera vite e l'uva acerba tagliata avete colla falce dura. Chi è che mieta la sementa in erba e non aspetti che la sia matura? Dunque rendete a me la mia speranza: i' non vel cheggio in don, quest'è prestanza. Io ve ne priego pelle turbide acque della palude Stigia e d'Acheronte; pel Caos onde tutto el mondo nacque e pel sonante ardor di Flegetonte; pel pomo ch'a te già, regina, piacque quando lasciasti pria nostro orizonte. E se pur me la nieghi iniqua sorte, io non vo' su tornar, ma chieggio morte. \persona{Proserpina} \[a Plutone dice così\] Io non credetti, o dolce mie consorte, che Pietà mai venisse in questo regno: or la veggio regnare in nostra corte et io sento di lei tutto 'l cor pregno; né solo i tormentati, ma la Morte veggio che piange del suo caso indegno: dunque tua dura legge a lui si pieghi, pel canto, pell'amor, pe' giusti prieghi. \persona{Pluto} \[risponde ad Orfeo e dice così\] Io te la rendo, ma con queste leggi: che la ti segua per la ceca via, ma che tu mai la suo faccia non veggi finché tra' vivi pervenuta sia; dunque el tuo gran disire, Orfeo, correggi, se non, che tolta subito ti fia. I' son contento che a sì dolce plettro s'inchini la potenza del mio scettro. \0\[\1 ritorna, redenta Euridice, cantando certi versi alegri che sono de Ovidio accommodati al proposito\] {\slshape \Progressio \numerus {4} \Forma \strophae {1{\penalty 200}0} Ite triumphales circum mea tempora lauri! Vicimus: Euridice reddita vita mihi est. Haec est praecipuo victoria digna triumpho: huc ades, o cura parte triumphe mea. } \Progressio \numerus {6} \Forma \strophae {100000} \persona{Euridice}\[si lamenta con Orfeo per essergli tolta sforzatamente\] Oimè, che 'l troppo amore n'ha disfatti ambedua. Ecco ch'i' ti son tolta a gran furore, né sono ormai più tua. Ben tendo a te le braccia, ma non vale, ché 'ndrieto son tirata. Orfeo mie, vale! \1, \[seguendo Euridice, dice così\] Oimè, se' mi tu tolta, Euridice mie bella? O mie furore, o duro fato, o ciel nimico, o Morte! O troppo sventurato el nostro amore! Ma pur un'altra volta convien ch'i' torni alla plutonia corte. \0\[Volendo Orfeo di nuovo tornare a Plutone, \persona{Una Furia} se li oppone e dice così:\] \Progressio \numerus {4} \Forma \strophae {1000} Più non venire avanti, anzi 'l piè ferma e di te stesso omai teco ti dole: vane son tuo parole, vano el pianto e 'l dolor. Tua legge è ferma. \ottave \1 \[si duole della sua sorte\] Qual sarà mai sì miserabil canto che pareggi il dolor del mie gran danno? O come potrò mai lacrimar tanto ch'i' sempre pianga el mio mortale affanno? Starommi mesto e sconsolato in pianto per fin ch'e' cieli in vita mi terranno: e poi che sì crudele è mia fortuna, già mai non voglio amar più donna alcuna. Da qui innanzi vo' côr e fior novelli, la primavera del sesso migliore, quando son tutti leggiadretti e snelli: quest'è più dolce e più soave amore. Non sie chi mai di donna mi favelli, po' che mort'è colei ch'ebbe 'l mio core; chi vuol commerzio aver co' mie' sermoni di feminile amor non mi ragioni. Quant'è misero l'huom che cangia voglia per donna o mai per lei s'allegra o dole, o qual per lei di libertà si spoglia o crede a suo' sembianti, a suo parole! Ché sempre è più leggier ch'al vento foglia e mille volte el dì vuole e disvole; segue chi fugge, a chi la vuol s'asconde, e vanne e vien come alla riva l'onde. Fanne di questo Giove intera fede, che dal dolce amoroso nodo avinto si gode in cielo il suo bel Ganimede; e Febo in terra si godea Iacinto; a questo santo amore Ercole cede che vinse il mondo e dal bello Ila è vinto: conforto e' maritati a far divorzio, e ciascun fugga el feminil consorzio. \persona{Una Baccante} \[indignata invita le compagne alla morte di Orfeo\] Ecco quel che l'amor nostro disprezza! O, o, sorelle! O, o, diamoli morte! Tu scaglia il tirso; e tu quel ramo spezza; tu piglia o sasso o fuoco e gitta forte; tu corri e quella pianta là scavezza. O, o, facciam che pena el tristo porte! O, o, caviangli il cor del petto fora! Mora lo scelerato, mora! mora! \0 \[Torna la \persona{Baccante} con la testa di Orfeo e dice così\] O, o! O, o! mort'è lo scelerato! Euoè! Bacco, Bacco, i' ti ringrazio! Per tutto 'l bosco l'abbiamo stracciato, tal ch'ogni sterpo è del suo sangue sazio. L'abbiamo a membro a membro lacerato in molti pezzi con crudele strazio. Or vadi e biasimi la teda legittima! Euoè Bacco! accepta questa vittima! \0 \[Sacrificio delle \persona{Baccante} in onore di Bacco\] \canzona {\Locus \textus {+3em} Ognun segua, Bacco, te! Bacco, Bacco, euoè! Chi vuol bevere, chi vuol bevere, venga a bevere, venga qui. Voi 'mbottate come pevere: i' vo' bevere ancor mi! Gli è del vino ancor per ti, lascia bevere inprima a me. Ognun segua, Bacco, te! Io ho voto già il mio corno: damm'un po' 'l bottazzo qua! Questo monte gira intorno, e 'l cervello a spasso va. Ognun corra 'n za e in là come vede fare a me. Ognun segua, Bacco, te! I' mi moro già di sonno: son io ebria, o sì o no? Star più ritte in piè non ponno: voi siate ebrie, ch'io lo so! Ognun facci come io fo: ognun succi come me! Ognun segua, Bacco, te! Ognun cridi: Bacco, Bacco! e pur cacci del vin giù. Po' co' suoni faren fiacco: bevi tu, e tu, e tu! I' non posso ballar più. Ognun cridi: euoè! Ognun segua, Bacco, te! Bacco, Bacco, euoè! } \endVersus \endDrama \Facies \incipit {\textsc{#1#2}} \opera{CANZONI A BALLO} \Locus \textus {\auto} \newenvironment{canzone}[1]{% \Facies \titulus {\MakeUppercase{\romannumeral##1}} \SpatiumSupra {5ex plus 1ex minus 1ex} \SpatiumInfra {3ex plus .5ex minus .5ex} \titulus{#1} \versus \numerus{1} \Progressio \numerus {26}% \Forma \strophae {10{.5ex}(100000{.5ex}}% \incipit* }{\endversus} \begin{canzone}{3} I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino di mezzo maggio in un verde giardino. Erano intorno violette e gigli, fra l'erba verde, e vaghi fior novelli, azzurri, gialli, candidi e vermigli: ond'io porsi la mano a c\^or di quelli per adornare e' mie' biondi capelli, e cinger di grillanda el vago crino. Ma poi ch'i' ebbi pien di fiori un lembo, vidi le rose, e non pur d'un colore; io colsi allor per empier tutto el grembo, perch'era sì soave il loro odore che tutto mi senti' destare el core di dolce voglia e d'un piacer divino. I' posi mente: quelle rose allora mai non vi potrei dir quant'eran belle! Quale scoppiava dalla boccia ancora quale erano un po' passe e qual novelle. Amor mi disse allor: ``Va' co' di quelle che più vedi fiorite in sullo spino.'' Quando la rosa ogni suo foglia spande, quando più bella, quando più gradita, allora buona a mettere in ghirlande, prima che sua bellezza sia fuggita. sicché, fanciulle, mentre è più fiorita, coglian la bella rosa del giardino. \end{canzone} \begin{canzone}{4} I' mi trovai un dì tutto soletto, in un bel prato per pigliar diletto. Non credo che nel mondo sia un prato dove sien l'erbe di sì vaghi odori: ma quand'io fu' nel verde un pezzo entrato, mi ritrovai tra mille vaghi fiori, bianchi e vermigli, e di cento colori; fra' qual senti' cantare uno augelletto. Era 'l suo canto sì soave e bello che tutto 'l mondo innamorar facea. I' m'acostai pian pian per veder quello: vidi che 'l capo e l'ali d'oro avea, ogni altra penna di rubin parea, ma 'l becco di cristallo, e 'l collo e 'l petto. I' lo volli pigliar, tanto mi piacque, ma tosto si levò per l'aria a volo e ritornossi al nido ove si nacque. I' mi son misso a seguirlo sol solo. Ben crederei pigliarlo ad un lacciuolo, s'i' lo potessi trar fuori dal boschetto. I' gli potrei ben tender qualche rete, ma da po' che 'l cantar gli piace tanto, sanz'altra ragna o sanz'altra parete mi vo' provar di pigliarlo col canto. E quest'è la cagion per ch'i' pur canto: che questo vago augel cantando alletto. \end{canzone} \begin{canzone}{6} \Progressio \numerus {35}% \Forma \strophae {100(10000)}% Questo mostrarsi adirata di fore, donna, non mi dispiace purch'io stie 'n pace poi col vostro core. Ma perch'i' son del vostro amore incerto, cogli occhi mi consiglio: quivi veggio 'l mio bene e 'l mie' mal certo: ché, se movete un ciglio, subito piglio speranza d'amore. Se poi vi veggio in atto disdegnosa, par che 'l cor si disfaccia; e credo allor di non poter far cosa, donna, che mai vi piaccia, così s'adiaccia et arde a tutte l'ore. Ma se talor qualche pietà mostrassi negli occhi, o diva stella, voi faresti d'amore ardere e' sassi: pietà fa donna bella, pietà è quella, onde amor nasce e more. \end{canzone} \begin{canzone}{7} \Progressio \numerus {37}% \Forma \strophae [7] {100(10)}% Io ti ringrazio, Amore, d'ogni pena e tormento, e son contento omai d'ogni dolore. Contento son di quanto ho mai soferto, signor, nel tuo bel regno, poi che per tua merzé, sanza mio merto, m'hai dato sì gran pegno, poi che m'hai fatto degno d'un sì beato riso, che in paradiso n'ha portato il core. In paradiso el cor n'hanno portato que' begli occhi ridenti, ov'io ti vidi, Amore, star celato colle tue fiamme ardenti. O vaghi occhi lucenti che 'l cor tolto m'avete, onde traete sì dolce valore? I' ero già della mia vita in forse: Madonna in bianca vesta con un riso amoroso mi socorse, lieta, bella e onesta; dipinta avea la testa di rosa e di viole, gli occhi che 'l sole avanzon di splendore. \end{canzone} \begin{canzone}{8} Chi non sa come fatto el paradiso, guardi Ipolita mia negli occhi fiso. Dagli occhi della Ipolita discende, cinto di fiamme, uno angiolel d'amore che' freddi petti come un'esca accende e con tanta dolcezza strugge 'l core, ch'e' va dicendo in mentre che si more: ``Felice a me ch'i' sono in paradiso!'' Dagli occhi dell'Ipolita si muove virtù che scorre con tanta fierezza, ch'i' la somiglio al folgorar di Giove, e rompe il ferro e 'l diamante spezza: ma la ferita ha in sé tanta dolcezza, che chi la sente è proprio in paradiso. Dagli occhi della bella Leoncina piove letizia tanto onesta e grave, ch'ogni mente superba a lei s'inchina, e par la vista sua tanto soave che d'ogni chiuso cor volge la chiave, onde l'anima fugge in paradiso. Negli occhi di costei beltà si siede che seco stessa dolce parla e ride; negli occhi suoi tanta grazia si vede quanta nel mondo mai per uom si vide: ma qualunche costei cogli occhi uccide, lo risucita poi guardandol fiso. \end{canzone} \begin{canzone}{9} \Progressio \numerus {48}% \Forma \strophae {1000(10*7)}% Deh, udite un poco, amanti, s'i' son bene sventurato: una donna m'ha legato, or non vuole udir miei pianti. Una donna el cor m'ha tolto, or nol vuole, e non mel rende; hammi un laccio al collo avolto, ella m'arde, ella m'incende. Quand'io grido, non m'intende, quand'io piango, ella si ride; non mi sana e non mi uccide, tienmi pure in dolor tanti. \`E più bella assai che 'l sole, più crudele ch'un serpente: suo' be' modi e suo' parole, di dolcezza empion la mente. Quando ride, immantenente tutto 'l ciel si rasserena: questa bella mie' sirena fa morirmi co' suo canti. Ecco l'ossa, ecco le carne, ecco 'l core, ecco la vita: o crudel, che vuo' tu farne? Ecco l'anima smarrita: ché rinnuovi mie' ferita, e del sangue mio se' ingorda? Questa bella aspida sorda, chi verrà che me la incanti? \end{canzone} \begin{canzone}{13} \Progressio \numerus {26}% \Forma \strophae[6] {10(10)}% Ben venga Maggio \auto e 'l gonfalon selvaggio! Ben venga primavera, che vuol ch'uom s'inamori; e voi, donzelle, a schiera colli vostri amadori, che di rose e di fiori vi fate belle il maggio, venite alla frescura delli verdi arbuscelli. Ogni bella è sicura fra tanti damigelli: ché le fiere e gli uccelli ardon d'amore il maggio. Chi giovane e bella, deh non sie punto acerba, ché non si rinnovella l'età come fa l'erba; nessuna stia superba all'amadore il maggio. Ciascuna balli e canti di questa schiera nostra: ecco che i dolci amanti van per voi, belle, in giostra. Qual dura a lor si mostra, farà sfiorire il maggio. Per prender le donzelle si son gli amanti armati: arendetevi, belle, a' vostri innamorati! Rendete e cuor furati, non fate guerra il maggio. Chi l'altrui core invola ad altrui doni el core. Ma chi quel che vola? è l'angiolel d'Amore che viene a fare onore con voi, donzelle, al maggio. Amor ne vien ridendo, con rose e gigli in testa, e vien di voi caendo: fategli, o belle, festa. Qual sarà più presta a darli e fior del maggio? ``Ben venga il peregrino!.'' ``Amor, che ne comandi?'' ``Ch'al suo amante il crino ogni bella ingrillandi, ché li zitelli e grandi s'innamoran di maggio.'' \end{canzone} \opera{EPIGRAMMATA LATINA} \Novus \titulus \titolo \Facies {\textsc{\romannumeral#1}} \SpatiumSupra {3ex} \SpatiumInfra {.5ex} \Novus \titulus \Titolo \Facies {\textsc{\MakeLowercase{#1}}} \SpatiumInfra {1ex} \Progressio \numerus {2} \Forma \strophae {0{\penalty 100}1} \titolo{86} \Titolo{In Ioctum pictorem} \begin{versus} \numerus{1} Ille ego sum per quem pictura extincta revixit,\auto cui quam recta manus tam fuit et facilis. Naturae deerat nostrae quod defuit arti, plus licuit nulli pingere nec melius. Miraris turrem egregiam, sacro aere sonantem? Haec quoque de modulo crevit ad astra meo. Denique, sum Ioctus. Quid opus fuit illa referre? Hoc nomen longi carminis instar erat. \end{versus} \titolo{92} \Titolo{In Philippum fratrem, pictorem} \begin{versus} \numerus{1} \Locus \textus {\previous} Conditus hic ego sum, picturae fama, Philippus; nulli ignota meae est gratia mira manus. Artifices potui digitis animare colores, sperataque animos fallere voce diu. Ipsa meis stupuit natura expressa figuris, meque suis fassa est artibus esse parem. Marmoreo tumulo Medices Laurentius hic me condidit; ante humili pulvere tectus eram. \end{versus} \opera{ELEGIAE} \titolo{5} \Titolo{In violas} \begin{versus} \numerus{1} Molles o violae, veneris munuscula nostrae, dulce quibus tanti pignus amoris inest, quae vos, quae genuit tellus? quo nectare odoras \auto sparserunt zephyri mollis et aura comas? Vosne in Acidaliis aluit Venus aurea campis? Vosne sub Idalio pavit Amor nemore? His ego crediderim citharas ornare corollis Permessi in roseo margine Pieridas; hoc flore ambrosios incingitur Hora capillos, hoc tegit indociles Gratia blanda sinus; haec Aurora suae nectit redimicula fronti, cum roseum verno pandit ab axe diem; talibus Hesperidum rutilant violaria gemmis, floribus his pictum possidet aura nemus; his distincta pii ludunt per gramina manes, hos foetus verna Chloridos herba parit. Felices nimium violae, quas carpserit illa dextera quae miserum me mihi subripuit! Quas roseis digitis formoso admoverit ori illi unde in me spicula torquet Amor! Forsitan et vobis haec illinc gratia venit, tantus honor dominae spirat ab ore meae! Aspice lacteolo blanditur ut illa colore, aspice purpureis ut rubet haec foliis: hic color est dominae, roseo cum dulce pudore pingit lacteolas purpura grata genas. Quam dulcem labris, quam late spirat odorem! En, violae, in vobis ille remansit odor. O fortunatae violae, mea vita meumque delitium, o animi portus et aura mei, a vobis saltem, violae, grata ostula carpam, vos avida tangam terque quaterque manu vos lachrymis satiabo meis, quae moesta per ora perque sinum vivi fluminis instar eunt. Combibite has lachrymas, quae lentae pabula flammae saevus Amor nostris exprimit ex oculis. Vivite perpetuum, violae, nec solibus aestus nec vos mordaci frigore carpat hyems. Vivite perpetuum, miseri solamen amoris, o violae, o nostri grata quies animi. Vos eritis mecum semper, vos semper amabo, torquebor pulchra dum miser a domina dumque Cupidineae carpent mea pectora flamma dum mecum stabunt et lachrymae et gemitus. \end{versus} \opera{ODAE} \titolo{6} \Titolo{Ad iuventutem} \begin{versus} \Progressio \numerus {4} \numerus{1} \Forma \strophae {1000}% Iam cornu gravidus praecipitem parat \auto afflatus subitis frigoribus fugam Autumnus pater et deciduas sinu frondes excipit arborum. Cantant emeritis, Bacche, laboribus te nunc agricolae, sed male sobrios ventosae querulo murmure tibiae saltatu subigunt frui. Nos anni rediens orbita sub iugo Musarum revocat, dulce ferentibus, porrectisque monent sidera noctibus, carpamus volucrem diem. I mecum, docilis turba, biverticis Parnassi rapidis per iuga passibus, expers quo senii nos vocat et rogi consors gloria coelitum. Nam me seu comitem, seu, iuvenes, ducem malitis, venio; nec labor auferet quaerentem tetricae difficili gradu virtutis penetralia. \end{versus} \newpage \titolo{11} \Titolo{In Laurentium Medicem} \begin{versus} \numerus{1} \Progressio \numerus {5} \Forma \strophae {10000} Quis dabit capiti meo \auto aquam, quis oculis meis fontem lachrymarum dabit, ut nocte fleam, ut luce fleam? Sic turtur viduus solet, sic cycnus moriens solet, sic luscinia conqueri. Heu miser, miser! O dolor, dolor! Laurus impetu fulminis illa illa iacet subito, laurus omnium celebris, Musarum choris, nympharum choris; sub cuius patula coma et Phoebi lyra blandius, et vox dulcius insonat; nunc muta omnia, nunc surda omnia. Quis dabit capiti meo aquam, quis oculis meis fontem lachrymarum dabit, ut nocte fleam, ut luce fleam? Sic turtur viduus solet, sic cycnus moriens solet, sic luscinia conqueri. Heu miser, miser! O dolor, dolor! \end{versus} \end{document}